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BANANATEX, LA FRONTIERA DEL TESSUTO ORGANICO.

  • Immagine del redattore: Redazione
    Redazione
  • 25 set
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 2 ott

By Anna Mascarin, Chethra Iotti, Adelina Besleaga


Oggi più che mai, conosciamo l’impatto devastante dell’industria tessile sull’ambiente e sulla salute umana. Un settore che contribuisce in modo significativo all’inquinamento idrico e atmosferico, oltre a produrre rifiuti tossici su larga scala.


bananatex-materie oscure; Primo piano di fibre bananatex su un campione di tessuto etichettato "Bananatex" con dettagli stampati. Le tonalità neutre creano un aspetto naturale e testurizzato.

courtesy: QWSTION


La produzione tessile richiede risorse immense: quantità esorbitanti di acqua, suolo ed energia. Secondo i dati dell’associazione Ambiente e Lavoro, nel 2015 l’industria ha consumato 79 miliardi di metri cubi d’acqua a livello globale, cifra salita a 266 miliardi nel 2017, pari al fabbisogno idrico dell’intera economia europea. Per produrre una semplice maglietta in cotone, servono circa 2.700 litri d’acqua dolce: l’equivalente del consumo di una persona in tre anni.

Come evidenziato dal Parlamento Europeo nel rapporto L’impatto della produzione e dei rifiuti tessili sull’ambiente, il 20% dell’inquinamento idrico globale deriva dai processi di tintura e finissaggio dei tessuti. A questo si aggiunge il lavaggio dei capi sintetici, che rilascia ogni anno 0,5 milioni di tonnellate di microfibre nei mari, contribuendo al 35% delle microplastiche primarie disperse nell’ambiente.

Ma l’acqua non è l’unica vittima: il fashion system è responsabile del 10% delle emissioni globali di carbonio, superando quelle generate dai voli internazionali e dal trasporto marittimo combinati. L’Agenzia Europea dell’Ambiente stima che, nel 2020, l’acquisto di prodotti tessili sintetici nell’UE abbia prodotto 270 kg di CO2 pro capite, per un totale di 121 milioni di tonnellate di gas serra.

E poi ci sono i rifiuti. Solo nel 2020, l’Europa ha generato 6,95 milioni di tonnellate di scarti tessili (16 kg a persona), di cui appena il 22% è stato avviato al riciclo. In Italia, nello stesso anno, sono state prodotte 160.000 tonnellate di rifiuti, con un trend in costante crescita.

Numeri che raccontano un’urgenza: serve un cambio di rotta. Ed è qui che entra in gioco Bananatex, il tessuto 100% sostenibile sviluppato dal brand svizzero QWSTION, realizzato esclusivamente con fibre di Abacá, una varietà di banano.


L’ALTERNATIVA SOSTENIBILE AI TESSUTI SINTETICI

Frutto di tre anni di ricerca e sviluppo da parte di un team di designer e ingegneri – tra cui Sebastian Kruit, Christian Kaegi e Hannes Schoenegger – Bananatex è un materiale biodegradabile, senza plastica e open source: non è brevettato, per incoraggiarne l’adozione da parte di qualsiasi brand.

L’obiettivo? Promuovere una sostenibilità a 360 gradi – ambientale, economica e sociale – e sfidare il dominio dei tessuti sintetici.


UNA RIVOLUZIONE (RI)TROVATA

Perché una rivoluzione? Perché Bananatex riporta in auge le fibre vegetali, dopo decenni di monopolio delle sintetiche (introdotte negli anni ’50). La svolta parte dalle Filippine, habitat naturale della Musa textilis – detta anche Abacá o Canapa di Manila.

Questa pianta cresce in un ecosistema autosufficiente, senza bisogno di pesticidi o irrigazione intensiva, e favorisce la riforestazione di aree danneggiate dalle monocolture di palma. Inoltre, gli steli utilizzati per produrre il tessuto si rigenerano in un anno, rendendo il processo cruelty-free e circolare.


bananatex-materie oscure; Rigogliose piante di banano  sotto un cielo azzurro. Una palma alta sullo sfondo crea un'atmosfera tropicale.

courtesy: Bananatex


DALLA PIANTA AL TESSUTO: COME NASCE BANANATEX


Coltivazione e raccolta

Dopo 2-3 anni dalla piantumazione, gli steli di Abacá vengono tagliati, privati delle foglie e lavorati manualmente o semi-meccanicamente per estrarre le fibre lunghe e resistenti. Gli scarti, lasciati sul terreno, si decompongono diventando fertilizzante naturale.


bananatex-materie oscure; Mani che rimuovono la corteccia da un tronco marrone con un coltello, in una piantagione di banani Bananatex. Vegetazione verde sullo sfondo.

courtesy: Bananatex

Filatura

(Taiwan) Le fibre essiccate al sole vengono pettinate e filate con tecniche simili a quelle usate per cotone e lino, ottenendo un filato robusto, traspirante e idrorepellente.


bananatex-materie oscure; Un operaio con una maglietta blu maneggia grandi fasci di fibra Bananatex in un magazzino. Un cartello sopra di lui reca la scritta "CASI". La luce del sole illumina le fibre.

courtesy: Bananatex


Tessitura e finissaggio

Su telai industriali, il filato diventa un tessuto resistente, flessibile e simile alla tela di cotone. Le finiture – cere naturali, oli ecologici e tinture vegetali – ne esaltano durabilità ed estetica senza sostanze chimiche.


bananatex-materie oscure; Primo piano di goccioline su un tessuto bianco Bananatex, che ne evidenzia l'idrorepellenza. Il tessuto presenta una trama fitta e un aspetto pulito e luminoso.

courtesy: QWSTION


Fine vita

Bananatex è 100% biodegradabile: a fine utilizzo, può essere compostato, tornando alla terra come nutriente per nuove piante.


bananatex-materie oscure; Una borsa bianca Bananatex con manici color cuoio sembra fondersi con il terreno, mentre una piccola pianta verde cresce nelle vicinanze. Sfondo bianco. Un'immagine surreale e che stimola la riflessione sulla sostenibilità.

courtesy: QWSTION


PERCHÉ SCEGLIERLO?

  • Zero pesticidi, poca acqua

  • Rigenera il suolo e previene l’erosione

  • Alternative alle microplastiche (niente poliestere o nylon)

  • Open source: incoraggia una moda sostenibile e condivisa


UNA NUOVA ERA PER IL MERCATO

L’approccio open source ha già conquistato brand come H&M, Stella McCartney, Balenciaga e COS, oltre a realtà del design come Charlotta Alan e Lehni Enso. Bananatex non è solo un tessuto, ma un simbolo: dimostra che qualità e sostenibilità possono coesistere, aprendo la strada a un futuro in cui la responsabilità ambientale non sarà più un’opzione, ma la norma.

Siamo pronti a far parte di questo cambiamento?

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