by Federica Granata
-
Creatività, determinazione ed entusiasmo sono i punti di forza di Antonio Aricò, designer e direttore creativo italiano, classe 1983.
Il suo viaggio parte da Reggio Calabria per svelare a Milano le meraviglie del Sud Italia. Convinto che la vera innovazione sia nella realtà genuina e autentica della sua terra, Antonio rappresenta i valori dei suoi luoghi e i suoi ricordi attraverso le opere.
Dopo la doppia laurea al Politecnico di Milano e un master, il designer si dedica ai più sfaccettati volti del mestiere: Design della Moda e del Prodotto a Milano, del Gioiello in Scozia, Filosofia del Design in Australia e Arredamento in Andalusia.
Nel 2011 apre il proprio studio di progettazione, e fa del suo concept una miscela ben amalgamata di tradizione e innovazione: si destreggia fra artigianato – seguendo le orme del nonno falegname, Saverio Zaminga – e moderno design industriale.
Il suo background umanistico lo porta a enfatizzare e prediligere la poesia, la fantasia e il romanticismo del nostro passato, contrapponendoli alla freddezza dell'industrialismo.
L'esordio della sua produzione è segnato da “Back Home”, realizzato con il nonno Saverio in occasione della Design Week 2012. Si tratta di una collezione di oggetti di arredamento dal design spontaneo e semplice, dettato dalla nostalgia e dal rispetto di Antonio nei confronti della sua terra. Con Back Home, infatti, Aricò racconta quelle tradizioni che hanno, appunto, il sapore di casa.
Il suo tocco inconfondibile ha attirato, nel corso degli anni, l'interesse di aziende di fama internazionale come Barilla, Seletti, Bialetti, Alessi, a cui il designer ha offerto la creazione di opere emozionali: mobili, prodotti, design su misura, case private, opere curatoriali, direzioni artistiche.
Antonio ci ha accompagnato nel suo mondo e ci ha dato la possibilità di approfondire alcuni aspetti delle sue creazioni.
Dici di te che “enfatizzi l'umanità nel mondo tecnico del design”. In che modo?
Il design industriale è una disciplina che prevede la produzione di oggetti a larga scala. Da un lato io lavoro per grandi aziende producendo beni di consumo per tutti, ed è la parte del mio lavoro che tengo maggiormente nascosta e che comunico poco perché è l’aspetto più funzionale.
L’altro lato delle mie creazioni riguarda il racconto che porto avanti con la progettazione e il disegno di oggetti più emozionali, che per me è una sorta di ricerca, di laboratorio e sviluppo.
I miei progetti mettono solitamente più in evidenza la narrazione, la poetica, la storia del prodotto rispetto al prodotto in sé. Non sono, quindi, oggetti che hanno particolari caratteristiche funzionali o strategiche su larga scala, ma sono più degli oggetti artistici.
Punto molto sulle storie degli oggetti e sull'arte che trasmettono, gioco con gli archetipi delle forme che sono pensate per raccontare storie nuove.
Il tuo percorso artistico è contraddistinto da studi molto variegati: Design della Moda e del Prodotto a Milano, del Gioiello in Scozia, Filosofia del Design in Australia e Arredamento in Andalusia. Come sei riuscito e come riesci a conciliare tutte queste sfaccettature del design e inserirle nelle tue creazioni?
Ho sempre avuto predisposizione per le materie artistiche e anche il mio background familiare ha fondamenta nell’arte: la zia sarta, il nonno falegname, lo zio cuoco. Sono cresciuto in un ambiente molto libero e creativo. Dall’altra parte, però, ho sempre condotto studi scientifici, scolasticamente parlando.
Ho quindi cercato di unire, nel mio percorso, questi due estremi: la mia natura e passione per l’arte da una parte e l’educazione e la tecnica dall’altra.
La tua prima collezione auto-prodotta è “Back Home”, presentata nel corso della Milano Design Week del 2012 e unisce artigianato e auto produzione all’ industrial design, un concetto all’epoca non ampiamente esplorato. Ritieni che questo progetto, oggi, data la rinnovata consapevolezza del design industriale, sarebbe potuto essere accolto diversamente?
Ai tempi, quando ho presentato il progetto, questo ha generato rumore perchè portavo una novità, qualcosa di inesplorato. In quegli anni si parlava molto di autoproduzione ma non si parlava quasi per niente di artigianalità italiana. Il boom è arrivato dopo.
Credo che oggi siamo un po’ più abituati a sentir parlare di artigianalità e questa viene accolta anche in maniera più aperta, e gli artisti sono di conseguenza più invogliati a sperimentare sotto questo aspetto.
Perché e in che modo prediligi le edizioni limitate dei prodotti artistici?
Sicuramente perché c’è più possibilità di creare qualcosa di personale e intimo. Allo stesso tempo credo che, così come in tempi diversi – penso agli anni 60/70/80 – il design come oggetto a portata di tutti permetteva di differenziare gli status sociali, allo stesso modo oggi si ricercano oggetti autoriali, unici, pensati per il cliente singolo, e diventano ragione di vanto.
La situazione si è in qualche modo ribaltata: il design nel tempo è diventato più volgare e si è tornati indietro all’idea di committente che commissiona un’opera unica.
Come nascono le collaborazioni con grandi marchi italiani (come Barilla, Seletti, Alessi, Noberasco, Bialetti)?
Lavorare con grandi marchi italiani è sempre stato ed è ancora oggi un sogno, portato avanti con ambizione. Le collaborazioni nascono senza dubbio da una ricerca che possa incuriosire l’utente.
Il primo approccio tra me e le aziende parte sempre da un’idea, che poi vado ad approfondire e adeguare sempre in base al gusto, al bisogno o all’immagine del marchio stesso.
Raccontaci meglio la tua poetica e le tue opere emotive, in bilico tra artigianato e design industriale, tra nord e sud, tra pezzo unico e prodotto.
Le opere più emotive sono quelle che rappresentano particolari momenti del mio percorso: momenti di crisi, di ritorno alle origini, alla semplicità, alla fisicità. Sono reazioni che seguono periodi di lavoro intenso, come un meccanismo di azione-reazione.
Per me gli oggetti più poetici rappresentano emozioni. Ad esempio la creazione del pupazzo in legno Nirù, che ha segnato un momento particolare in cui io cercavo di scappare nuovamente da oggetti industriali e disegnare un'opera naif e semplice. Nirù è quasi ludico ma allo stesso elegante, e rappresenta un momento che ho vissuto o che sto vivendo.
Creare oggetti di design per me è come scrivere poesie, canzoni, la trama di un film: cerco di raccontare emozioni o momenti vissuti; allo stesso tempo chi percepisce le mie creazione, le interpreta in modi differenti, a seconda di cosa queste trasmettono e in base alla sensibilità della persona.
La Calabria che spesso si ritrova nelle mie creazioni è in realtà una metafora che rappresenta un luogo di fuga e di ritorno. Può essere sinonimo di un viaggio, di una casa, di una periferia . La Calabria è una terra estrema e tramite questa riesco a essere portavoce di una condizione che accomuna, in fondo, tutti noi.
Ph credits: Antonio Aricò ritratto di A. Muscatello, foto di Back Home di F. Zaminga e N. Marnati, foto di Nirù di A. Muscatello.
Comments